I Tumori Infantili
Leucemie Acute
Le leucemie costituiscono circa il 33% dei tumori infantili. Tra le leucemie infantili, la Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) costituisce circa il 75% dei casi, e il resto è costituito da vari tipi di Leucemia Mieloblastica Acuta (LMA). Le leucemie sono un gruppo di malattie caratterizzate da una crescita rapida e incontrollata di cellule immature ed atipiche che infiltrano il midollo osseo, dove sono prodotte tutte le cellule del sangue. Il midollo non produce più cellule normali; il sangue stesso, quindi, si impoverisce e compaiono i primi segni e sintomi, dovuti alla carenza di globuli rossi (pallore e anemia), di globuli bianchi (leucopenia e facilità a contrarre infezioni) e di piastrine (manifestazioni emorragiche). Spesso si rileva la presenza di un elevato numero di globuli bianchi (leucocitosi).
Segni clinici
Possono essere anche subdoli, infatti anoressia, astenia, pallore, febbre possono essere presenti in tante altre condizioni; segni più tipici possono essere le manifestazioni emorragiche, l’ingrossamento dei linfonodi, l’aumento di volume del fegato e della milza, dolori osteoarticolari, tutte situazioni legate alla sovrapproduzione di cellule leucemiche con conseguente infiltrazione del midollo osseo e degli organi suddetti.
Diagnosi
All’emocromo si può evidenziare: aumento o diminuzione del numero dei globuli bianchi, con presenza di cellule immature (blasti) nel midollo osseo e/o nel sangue periferico, riduzione del numero delle piastrine e anemia per diminuzione del numero dei globuli rossi. Premesso che è possibile formulare una diagnosi anche con l’esame del sangue periferico, lo studio dell’aspirato midollare permette di formulare una diagnosi di leucemia quando la quota di cellule atipiche è superiore al 25%. Ulteriori analisi più sofisticate (citofluorimetria) consentono poi di classificare il tipo di leucemia dando indicazioni sul protocollo terapeutico da seguire.
Leucemia Linfoblastica Acuta
La chemioterapia dura complessivamente 2 anni e viene erogata a fasi.
La prima fase, induzione, consiste nella somministrazione di chemioterapici in modo da determinare la scomparsa dei blasti dal sangue circolante e ridurre a meno del 5% quelli nel midollo osseo (remissione).
Questa fase dura 8 settimane, dopo di che si passa alla successiva fase di terapia, consolidamento in cui si utilizza un farmaco ad alte dosi per via endovenosa e per via intratecale, il methotrexate, per prevenire il coinvolgimento da parte della malattia del sistema nervoso centrale.
Questa fase dura circa due mesi e prevede 4 ricoveri di almeno tre giorni.
La fase successiva, reinduzione, prevede la somministrazione di chemioterapia con farmaci simili a quelli impiegati in induzione e dura circa 6 settimane.
L’ultima fase, mantenimento, prevede la somministrazione di chemioterapici a dosaggio più basso per mantenere la remissione completa.
Dura circa 18 mesi, fino allo stop terapia, a due anni dalla diagnosi.
Trascorsi 5 anni dal momento della diagnosi, senza che si sia verificata una ripresa della malattia, si può parlare di guarigione.
Le possibilità di guarigione con i moderni protocolli terapeutici in uso sono molto buone, oltre l’80%.
Altre terapie:
Nel caso della leucemia linfoblastica acuta il trapianto di midollo osseo (TMO) può essere preso in considerazione soltanto nelle forme ad alto rischio o in caso di recidiva durante o dopo la fine della terapia standard.
Leucemia Mieloide Acuta (LMA)
Costituisce circa il 25% delle leucemie acute del bambino; le leucemie croniche sono rarissime in età pediatrica.
Nelle forme di LMA, il meccanismo di infiltrazione del midollo osseo è sovrapponibile a quello della leucemia linfoblastica ma la cellula di partenza da cui origina il clone tumorale è differente. Segni e sintomi sono grosso modo gli stessi della leucemia linfoblastica anche se nella LMA sono più frequenti le manifestazioni emorragiche.
Diagnosi
Come per la LLA l’esame emocromocitometrico può evidenziare: aumento del numero dei globuli bianchi, con presenza di blasti, diminuzione del numero delle piastrine con conseguenti manifestazioni emorragiche, anemia per diminuzione del numero dei globuli rossi. Anche in questo caso, per porre diagnosi di LMA, la quota di cellule atipiche nel midollo osseo deve essere superiore al 25%. A seconda delle caratteristiche della cellula leucemica si distinguono 8 sottogruppi di LMA (M0-M7), distinguibili per cellula di origine e grado di maturazione. Il sottogruppo può determinare la scelta terapeutica.
Terapia
La chemioterapia che si utilizza nella leucemia mieloide acuta è una terapia “a blocchi”, erogata quasi sempre in regime di ricovero, che può determinare lunghi periodi di aplasia (riduzione marcata di globuli bianchi – globuli rossi – piastrine). Allo stato attuale la possibilità di guarigione con la sola chemioterapia è di poco superiore al 50%.
Il TMO è indicato nella gran parte dei casi di LMA; soltanto nei casi a prognosi molto favorevole questa scelta terapeutica può essere presa in considerazione, come nella LLA, dopo una ripresa di malattia. Un trattamento particolare, con l’impiego di alte dosi di vitamina A assieme alla chemioterapia è indicato nella leucemia promielocitica acuta (LMA M3).
Leucemia Mieloide Cronica
E’ una malattia molto rara in età pediatrica, meno del 5% delle leucemie.
Tipo adulto:
Malattia a decorso cronico, caratterizzata da una crescita incontrollata di elementi mieloidi più o meno maturi sia a livello del midollo osseo che del sangue periferico, caratterizzata da una costante splenomegalia (aumento di volume della milza), e da un emocromo che, nella maggior parte dei casi, svela lieve anemia, leucocitosi neutrofila e piastrinosi, che esita prima o poi in un quadro acuto (crisi blastica); le cellule presentano la tipica traslocazione cromosomica 9;22 o Philadelphia.
Tipo giovanile:
Simile alla forma tipo adulto, ma con la differenza che nelle cellule non si riscontra LA anomalia cromosomica tipica della prima. Tra i segni clinici linfoadenomegalia (ingrossamento diffuso di ghiandole linfatiche), manifestazioni emorragiche, reazione cutanea eritemato-desquamativa, epatosplenomegalia (ingrossamento di milza e fegato). All’emocromo si evidenzia: aumento del numero dei globuli bianchi, presenza di blasti, riduzione del numero delle piastrine con conseguente diatesi emorragica, anemia per diminuzione del numero dei globuli rossi. L’integrazione tra esame del midollo osseo e dello striscio periferico oltre agli esami di biologia molecolare (nella varietà Philadelphia positiva) permettono di porre la diagnosi. La conoscenza dell’implicazione molecolare della traslocazione cromosomica nella varietà dell’adulto ha portato all’identificazione di una terapia non antiblastica specifica come l’Imatinib mesilato (Gleevec), che permette di indurre una remissione della malattia in poche settimane, mentre fino ad una decina di anni fa il trapianto di midollo osseo allogenico sembrava l’unica valida opzione terapeutica. Per la varietà giovanile la chemioterapia può presentare una certa efficacia, ma il trapianto di midollo osseo allogenico rappresenta l’unica opzione valida di cura.
Linfomi
Due forme principali: il Linfoma di Hodgkin ed il Linfoma non Hodgkin. Tumore a partenza dalle ghiandole linfatiche (linfonodi) di origine linfoide o monocitico-macrofagica.
Nel Linfoma di Hodgkin (LH) che ha una maggior frequenza in età scolare e fino all’adolescenza il segno clinico più frequente è l’ingrossamento dei linfonodi, più frequentemente a livello del regione del collo; sintomi associati possono essere febbre, sudorazione notturna, perdita di peso, prurito severo e splenomegalia se la milza è stata coinvolta dalla malattia.
Se sono coinvolte le ghiandole linfatiche del torace, con conseguente ingrandimento del mediastino, si possono presentare tosse o dispnea (difficoltà respiratoria).
La diagnosi necessita della biopsia di uno o più linfonodi aumentati di volume.
Le indagini strumentali per determinare l’estensione della malattia (stadiazione) sono TAC, scintigrafia ossea e PET e consentono di definire il gruppo terapeutico più appropriato. Nel trattamento, l’associazione di chemioterapia e radioterapia permette di ottenere la guarigione in più dell’80% dei pazienti.
Linfomi non Hodgkin (LNH): tumori a partenza dalle cellule linfoidi o monocito-macrofagiche delle ghiandole linfatiche.
Il segno clinico più frequente è l’ingrossamento dei linfonodi, più frequentemente a livello del regione del collo, ma anche altre stazioni linfonodali possono essere interessate, per esempio a livello toraco-addominale, con la possibilità che i sintomi più importanti siano correlati all’effetto massa: tosse, distress respiratorio nelle forme mediastiniche e tumefazione addominale.
Oltre alle tumefazioni linfonodali, che possono raggiungere anche volume considerevole, possono associarsi febbre, astenia, epatosplenomegalia e nel caso di interessamento midollare, in cui si determina un quadro simil-leucemico, dolenzia osteo-articolare diffusa.
Le indagini strumentali per determinare la stadiazione sono la TAC e la scintigrafia ossea. Per la diagnosi necessita la biopsia di uno o più linfonodi tra quelli aumentati di volume; deve essere eseguito inoltre lo studio dell’aspirato midollare e un esame del liquido cerebrospinale per evidenziare eventuale infiltrazione del midollo osseo o del sistema nervoso centrale.
Stadiazione e definizione del sottotipo istologico consentono di determinare il protocollo terapeutico più adeguato. L’adozione della chemioterapia consente allo stato attuale di raggiungere la guarigione in più del 70% dei pazienti.
I tumori del sistema nervoso centrale
I tumori maligni del SNC sono le neoplasie solide più frequenti in età pediatrica e rappresentano circa il 20-22% dei tumori infantili.
Sono di differente tipo istologico in quanto derivano dai diversi tipi cellulari che compongono il SNC. La maggior parte sono astrocitomi, medulloblastomi/PNET, gliomi ed ependimomi.
L’incidenza è più alta nei bambini con meno di 8 anni ed in quelli tra 10 e 12 anni.
La maggior parte sono localizzati al di sotto del tentorio, una struttura che divide le regioni corticali dalle regioni bulbo-pontino-cerebellari.
La sintomatologia di presentazione all’esordio dipende dalla sede di insorgenza.
Nei tumori della fossa cranica posteriore dominano i segni dell’ipertensione endocranica à cefalea, vomito in genere mattutino, posture preferenziali del capo (ad es. un torcicollo persistente), i segni della disfunzione cerebellare (atassia e dismetria), i segni di sofferenza del tronco encefalico (sofferenza dei nervi cranici e disturbi della vigilanza).
Nei tumori delle regioni sovratentoriali predominano segni o sintomi di lato, crisi epilettiche, alterazioni del comportamento e/o disturbi neuropsicologici.
La sintomatologia di presentazione può essere ancora più insidiosa ed aspecifica quando il tumore ha sede spinale, nell’ambito del canale midollare: una progressiva inappetenza con graduale dimagrimento in un bambino al di sotto dell’anno di età può essere il primo ed unico segno di un tumore a localizzazione spinale.
Formulato il sospetto diagnostico il bambino deve essere preso in carico da un’èquipe multidisciplinare di cui pediatra oncologo e neuroradiologo rappresentano le figure iniziali.
Tomografia computerizzata (TAC), risonanza magnetica (RM) e tomografia ad emissione di positroni (PET) sono le indagini diagnostiche più utili per porre la diagnosi di tumore del SNC, per definire le dimensioni e la morfologia e quindi l’operabilità, e talvolta anche la natura della neoplasia.
Nella fase successiva entra in gioco la figura più importante che è quella del neurochirurgo. L’atto neurochirurgico è ancora oggi il momento più importante nel risultato finale.
La possibilità di un’asportazione completa all’esordio offre le maggiori possibilità di guarigione definitiva.
I tumori del SNC sono le neoplasie che hanno risentito meno dei miglioramenti prognostici secondari all’inserimento delle terapie adiuvanti (chemioterapia e radioterapia), anche se, soprattutto nei tumori di alto grado la chemioterapia e la radioterapia possono giocare un ruolo fondamentale nella possibilità di guarigione, specialmente nei casi in cui l’atto chirurgico si sia rivelato non completo.
Dopo la chirurgia (che può avere valenza terapeutica o soltanto diagnostica, come nei tumori non asportabili della regione bulbo-ponto-mesencefalica), il paziente viene preso in carico, dopo la definizione diagnostica del neuropatologo (che al giorno d’oggi fornisce una valutazione istologica, biomolecolare e talvolta anche un profilo di espressione genica), dal pediatra oncologo e dal radioterapista.
La polichemioterapia ad alte dosi con eventuale utilizzo della reinfusione di cellule staminali emopoietiche e la radioterapia (che può variare nella modalità di erogazione e di frazionamento) hanno un loro razionale nelle neoplasie di alto grado:
medulloblastomi/PNET, ependimomi anaplastici, astrocitomi di IV grado.
Nelle neoplasie di basso grado, come nell’astrocitoma pilocitico, per citare uno dei più frequenti, la chemioterapia ad alte dosi non ha un suo razionale, per cui il momento chirurgico assume un ruolo preponderante.
Al giorno d’oggi la sopravvivenza globale nelle neoplasie del SNC in età pediatrica, varia, a secondo delle varie casistiche, dal 60 al 65%.
Neuroblastoma
Il neuroblastoma (NB) è un tumore maligno embrionario che prende origine dal tessuto simpatico, da cui fisiologicamente prendono origine la midollare del surrene ed i gangli del sistema nervoso simpatico. Sebbene il NB sia molto raro è comunque il tumore solido più frequente in età pediatrica dopo i tumori cerebrali ed al di sotto dell’anno di età costituisce più del 50% delle neoplasie infantili. Il NB, infatti, costituisce il 7-10% di tutti i tumori solidi osservati in età pediatrica e presenta un’incidenza pari a circa 6.5-10.5 nuovi casi/anno/1.000.000 di soggetti d’età inferiore ai 15 anni, che in Italia significa circa 30 nuovi casi all’anno. Più del 90% dei NB viene diagnosticato prima dei 6 anni. I casi diventano molto più rari nelle età successive e la diagnosi è eccezionale nell’adolescente e nell’adulto. Può essere diagnosticato anche in età prenatale, durante un normale controllo ecografico in gravidanza.
Segni clinici
Le manifestazioni cliniche sono correlate alla sede d’insorgenza ed alla eventuale presenza di metastasi. Nella maggioranza dei casi questo tumore è localizzato in sede addominale, con una frequenza del 60-70%, ed è in genere a partenza surrenalica con sintomi spesso aspecifici quali febbre, malessere generale, anoressia, vomito, vaghi dolori addominali. Il riscontro della massa addominale da parte dei genitori o del pediatra curante è possibile quando raggiunge dimensioni considerevoli; questo può accadere nei bambini molto piccoli, in cui è spesso presente anche un cospicuo ingrandimento del fegato. Il neuroblastoma intratoracico (20%), originando nel mediastino posteriore, può causare tosse, insufficienza respiratoria, disfagia. Quello in sede paraspinale, penetrando nello speco vertebrale e comprimendo il midollo spinale, può dare vari tipi di sintomi a seconda della sede e dell’entità della compressione midollare: difficoltà nella stazione eretta e nella deambulazione fino alla paraplegia, stipsi e disturbi della minzione. Più del 60% dei NB presentano alla diagnosi una disseminazione metastatica. Le metastasi si localizzano più frequentemente alle ossa, al midollo osseo, al fegato, oltre che nei linfonodi. La presenza di una massiva infiltrazione del midollo osseo, può dare una sintomatologia simile a quella di una leucemia acuta: pallore, astenia e malessere generale, secondari all’anemia, manifestazioni emorragiche secondarie alla piastrinopenia, dolori osteoarticolari correlati all’espansione midollare. Esiste una situazione particolare, quella del cosiddetto stadio 4s: sono coinvolti bambini al di sotto dell’anno di età, che presentano un tumore già metastatizzato a livello epatico e/o linfonodale, cutaneo e/o al midollo osseo. In una situazione del genere ci si può aspettare, in una parte dei casi, una involuzione spontanea, senza alcuna terapia, per cui può essere indicato astenersi da qualsiasi trattamento. Talvolta, nei bambini con importante sofferenza generale può essere necessario praticare chemioterapia per avviare il processo di regressione. Elemento fondamentale è che non sia presente un’amplificazione del gene N-myc, che al momento appare la condizione che influenza maggiormente la prognosi anche nei bambini al di sotto dell’anno di età.
Indagini diagnostiche e stadiazione
Posto il sospetto di NB, per la diagnosi ci si affida ad esami ematochimici, di imaging morfologico ed alla medicina nucleare:
- dosaggio dell’Enolasi neuronospecifica nel siero (NSE) e delle catecolamine urinarie (Dopamina, Adrenalina, Noradrenalina) e soprattutto dei loro metaboliti, l’Acido Omovanillico e Vanilmandelico (HVA, VMA)
- biopsia ossea ed aspirato midollare, per valutare l’eventuale infiltrazione neoplastica midollare
- tecniche di imaging à Ecografia, TC o RM, per documentare la sede e le dimensioni del tumore
- scintigrafia ossea con 99Tc-MDP, per mettere in evidenza eventuali metastasi ossee
- scintigrafia con meta-iodio-benzil-guanidina (MIBG)
In particolare la biologia dei tumori di derivazione neurale e la loro attività metabolica conferiscono alla medicina nucleare un ruolo di primo piano nell’inquadramento diagnostico. Infatti l’uptake della MIBG, marcata con 131I o 123I, da parte delle vescicole secretorie adrenergiche ha fornito la possibilità di un esame strumentale di elevata specificità, fondamentale nella diagnosi e stadiazione iniziale, nella valutazione della risposta al trattamento e nel follow up successivo alla sospensione delle cure.
Fattori prognostici
Fra i fattori prognostici sono inclusi: a) l’età, b) l’istologia, c) la sede primaria del tumore, d) lo stadio, e) i fattori bioumorali, f) fattori genetici. a) La prognosi è nettamente migliore al di sotto dell’anno di età ed ancora meglio al di sotto di 6 mesi. b) La mancanza di maturazione in senso gangliare con poco stroma, la carenza di calcificazioni ed un indice mitotico alto sono tutti fattori prognostici negativi. c) La localizzazione addominale è quella più sfavorevole, soprattutto per il ritardo diagnostico che ne consegue. d) Per quanto attiene allo stadio I e II presentano un’ottima prognosi con percentuali di sopravvivenza libera da malattia rispettivamente del 90% e 70-85%, a 5 anni. I pazienti allo stadio 3 e 4 hanno una prognosi severa, con percentuali di sopravvivenza libera da malattia del 50-60% e del 20-30% rispettivamente. I pazienti in stadio 4s hanno una sopravvivenza libera da malattia pari al 50-70% a due anni. e) L’unico parametro di laboratorio che sembrerebbe di qualche significato è la latticodeidrogenasi (LDH): valori superiori a 1.000 u/l avrebbero un impatto negativo. f) Alcune caratteristiche genetiche del tumore, l’amplicazione dell’oncogene N-Myc, la delezione del cromosoma 1 e le variazioni del contenuto di DNA cellulare hanno tutte influenza negativa sulla prognosi.
Terapia
La terapia del NB, vista la complessità della malattia, comporta un approccio multidisciplinare che comprende: chirurgia, chemioterapia e radioterapia. Il chirurgo se le caratteristiche del tumore lo consentono deve essere il più radicale possibile. Spesso risulta difficile per la mancanza di piani di clivaggio, per il grado di infiltrazione del tumore nei confronti delle strutture vicine, o per la presenza di metastasi a distanza. In questi casi la chirurgia ha lo scopo di fornire il materiale tumorale per la diagnosi istologica e per la verifica delle caratteristiche citogenetiche (N-Myc), indispensabili per la programmazione terapeutica successiva. In tali casi il chirurgo potrà intervenire in un momento successivo, dopo un’adeguata riduzione volumetrica. La chemioterapia ha un ruolo fondamentale nel trattamento del NB, che è certamente un tumore chemiosensibile. L’impiego di più farmaci, a dosi convenzionali o ad alte dosi, fornisce spesso la possibilità di una chirurgia radicale riducendo le dimensioni del tumore ed eliminando la malattia metastatica. Benché il NB sia un tumore radiosensible, la RT non ha un ruolo predominante nella strategia terapeutica. Particolarmente interessante è considerata oggi la radioterapia metabolica con la MIBG marcata con iodio 131 che iniettata per via endovenosa viene captata dalle cellule del neuroblastoma, ove la metilguanidina è un metabolita essenziale alla produzione delle catecolamine; quindi è un trattamento selettivo contro le cellule neoplastiche. Le forme metastatiche nei bambini al di sopra dell’anno di età restano ancora una patologia estremamente grave con una sopravvivenza a 5 anni che non supera il 30%.
Tumori Renali
I tumori renali sono tra le neoplasie solide più frequenti nel bambino. Nella stragrande maggioranza di casi si tratta del Nefroblastoma o Tumore di Wilms, neoplasia maligna di origine embrionaria, ma in una piccola percentuale di casi l’istotipo può essere diverso: sarcoma renale a cellule chiare, carcinoma o tumore rabdoide.
Segni clinici
Nella maggior parte dei casi il riscontro di una tumefazione addominale può essere il primo segno, associata o meno a ematuria (emissione di sangue con le urine), o ad altri segni o sintomi ancora meno frequenti come ipertensione arteriosa, stipsi, anoressia (perdita dell’appetito), febbre, dolori addominali.
Diagnosi
Le indagini strumentali come ecografia, TC o RM sono ovviamente essenziali per poter formulare un sospetto diagnostico di tumore renale. Ovviamente è necessario l’esame istologico per definire il tipo di neoplasia renale. Nei casi non operabili o con metastasi a distanza si impone una biopsia del tessuto per effettuare la diagnosi istologica. In caso di operabilità il trattamento iniziale è la chirurgia, che permette anche di fornire il tessuto per la diagnosi. La chirurgia può prevedere quando possibile la tumorectomia con risparmio del rene non interessato dalla neoplasia oppure la nefrectomia (cioè l’asportazione del tumore con il rene in blocco).
Terapia
Dopo la chirurgia il trattamento successivo, chemioterapia più o meno radioterapia locale dipendono dalla radicalità chirurgica e dall’istologia del tumore. Nei casi metastatici dopo la biopsia, la chemioterapia preoperatoria serve per ridurre le dimensioni del tumore e per far scomparire le metastasi o renderle operabili. Dopo la chirurgia differita si prosegue il trattamento con la chemioterapia e la radioterapia. La prognosi nel Tumore di Wilms ed in genere in tutti i tumori renali è buona.
Sarcomi delle parti molli
Neoplasie maligne che prendono origine dai muscoli, tendini, tessuti fibroconnettivali e vascolari. Circa la metà di questi sarcomi sono Rabdomiosarcomi (per lo più suddivisi in embrionali ed alveolari), perché la cellula che da origine al tumore è la fibrocellula muscolare; le altre varietà istologihe, come il sarcoma sinoviale, il fibrosarcoma, il PNET extraosseo, lo schwannoma ed altri istotipi meno frequenti sono definiti Sarcomi non-rabdo. Caratteristica comune, oltre alla provenienza, sono l’infiltrazione diffusa del tessuto circostante e la tendenza alla recidiva locale. Notevole anche la capacità, soprattutto per alcuni istotipi, di dare metastasi a distanza.
Segni clinici
La sintomatologia dipende dalla localizzazione. La presenza di una tumefazione o di una massa nel caso in cui vengano coinvolti gli arti o le strutture muscolari di parete (dorso, addome o torace); molto più insidiosa può essere la localizzazione addominale; la sede parameningea può provocare invasione dei seni paranasali, con proptosi del bulbo oculare, asimmetrie del volto o sintomi neurologici. Nelle localizzazioni addominali o pelviche può essere causa di dolenzia addominale, difficoltà nell’evacuazione, mentre se in sede paravescicale può provocare sangue nelle urine e difficoltà nell’urinare.
Diagnosi
Ecografia, TC o RM servono per definire il sospetto diagnostico, le dimensioni e l’eventuale resecabilità ed assieme alla scintigrafia ossea ed alla valutazione dell’aspirato midollare consentono di appurare lo stadio della malattia. Nel caso di tumori sicuramente non asportabili in modo completo si impone la biopsia del tumore per la diagnosi e la definizione dell’istotipo.
Terapia
La chirurgia d’emblè può essere l’unico trattamento necessario nei casi localizzati. In tutte le altre situazioni la chemioterapia pre o post-operatoria e la radioterapia locale trovano la loro indicazione per ridurre le dimensioni della massa prima dell’intervento chirurgico o per eliminare eventuali residui di malattia.
Sarcomi ossei (Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing)
Neoplasie maligne che prendono origine dai tessuti osteocartilaginei; le due varietà più frequenti sono l’osteosarcoma ed il sarcoma di Ewing, ma esistono delle varietà più rare in età pediatrica come i condrosarcomi, i tumori a cellule giganti etc. Caratteristica comune, oltre alla provenienza, sono l’infiltrazione diffusa del tessuto circostante e la tendenza alla recidiva locale. Notevole anche la capacità, soprattutto per alcuni istotipi, di dare metastasi a distanza.
Segni clinici
La sintomatologia dipende dalla localizzazione. La presenza di una tumefazione o di una massa nel caso in cui vengano coinvolti gli arti o le strutture muscolari di parete (dorso, addome o torace); molto più insidiosa può essere la localizzazione addominale; la sede parameningea può provocare invasione dei seni paranasali, con proptosi del bulbo oculare, asimmetrie del volto o sintomi neurologici. Nelle localizzazioni addominali o pelviche può essere causa di dolenzia addominale, difficoltà nell’evacuazione, mentre se in sede paravescicale può provocare sangue nelle urine e difficoltà nell’urinare.
Diagnosi
Ecografia, TC o RM servono per definire il sospetto diagnostico, le dimensioni e l’eventuale resecabilità ed assieme alla scintigrafia ossea ed alla valutazione dell’aspirato midollare consentono di appurare lo stadio della malattia. Nel caso di tumori sicuramente non asportabili in modo completo si impone la biopsia del tumore per la diagnosi e la definizione dell’istotipo.
Terapia
La chirurgia d’emblè può essere l’unico trattamento necessario nei casi localizzati. In tutte le altre situazioni la chemioterapia pre o post-operatoria e la radioterapia locale trovano la loro indicazione per ridurre le dimensioni della massa prima dell’intervento chirurgico o per eliminare eventuali residui di malattia.
Retinoblastoma
E’ la neoplasia maligna dell’occhio più frequente nel bambino. Può svilupparsi in un occhio o in entrambi, nella maggior parte dei casi è unilaterale, quasi sempre sporadico. La forma bilaterale può essere a trasmissione familiare. Sintomi: leucocoria (un riflesso biancastro visibile all’interno della pupilla), strabismo, edema palpebrale. Diagnosi: in genere un’accurata visita oculistica con esame del fundus può consentire di porre il sospetto diagnostico. Esami strumentali come ecografia, TC o RM consentono di definire contorni ed estensione della malattia. Terapia: la chirurgia può avere una valenza diagnostica (biopsia) o terapeutica nei casi unilaterali; generalmente l’associazione della chemioterapia alla terapia locale con laser consente degli ottimi risultati, consentendo di evitare l’enucleazione, che è sempre meno praticata.
Epatoblastoma
E’ il tumore maligno più frequente del fegato. Altre forma più rare sono il sarcoma primitivo e quello indifferenziato del fegato, oltre all’altrettanto raro carcinoma (per lo più in soggetti affetti da tirosinemia). Clinica: in genere il primo segno è il rilievo di una massa addominale, ma anche febbre, dolori, ittero (colore giallo della pelle e delle mucose) possono essere segni presenti all’esordio. Diagnosi: oltre ai rilievi clinici nell’iter diagnostico possono essere significativi alcuni esami di laboratorio soprattutto l’alfa-fetoproteina sierica nell’epatoblastoma. Le indagini strumentali, che servono per definire estensione e caratteristiche della malattia sono ecografia e TC; la RM è raramente necessaria nello studio dei tumori del fegato. Nelle situazioni in cui il tumore è asportabile, è indicata la chirurgia iniziale seguita dalla chemioterapia. Nei casi in cui non sussistono le condizioni di operabilità, la biopsia ha lo scopo di assicurare il materiale per la diagnosi. La chemioterapia varia nell’intensità a secondo dello stadio iniziale (rischio standard o alto), ed ha lo scopo di creare le condizioni di operabilità; in seguito viene continuata anche dopo l’intervento. Mentre non è indicato il trattamento radioterapico, trova un’adeguata indicazione il trapianto di fegato da vivente o da cadavere ed, in alcuni casi selezionati, la chemioembolizzazione e la chemioterapia intrarteriosa selettiva.
Altre condizioni Ematologiche non Oncologiche
Piastrinopenia
Condizione caratterizzata da diminuzione del numero di piastrine legata, nella stragrande maggioranza di casi, a meccanismi immunologici.
Può essere una condizione transitoria a risoluzione spontanea, di gravità variabile.
Clinica: nella maggior parte dei casi ha un esordio acuto ed il bambino presenta manifestazioni emorragiche a livello della cute (ecchimosi, ematomi e petecchie), a livello delle mucose con sanguinamenti dal naso o dalle gengive, o può essere presente ematuria. La diagnosi si fa con un banale emocromo.
Può essere necessario effettuare una valutazione dell’aspirato midollare per escludere altre malattie che possono causare una riduzione delle piastrine.
Terapia: steroidi a dosi standard o immunoglobuline e.v. costituiscono i cardini fondamentali di prima scelta.
Nel caso si scelga il trattamento con steroidi l’esecuzione dell’aspirato midollare è assolutamente obbligatorio. In caso di mancata risposta ad uno dei due trattamenti, altre terapie possono essere prese in considerazione: cortisone ad alte dosi, Immunoglobuline anti-D, Rituximab.
Anemia
E’ la diminuzione di emoglobina nel sangue, associata o meno alla riduzione dei globuli rossi. Le cause sono tante e condizionano il tipo di anemia.
Nell’ambito delle forme carenziali si spazia dalla carenza di ferro dell’anemia microcitica ipocromica, alla carenza di vitamina B12 o acido folico dell’anemia macrocitica, che possono essere secondarie a ridotta introduzione alimentare o a condizioni di malassorbimento.
Altro gruppo di anemie sono quelle da alterazioni della membrana del globulo rosso, che si caratterizzano per l’emolisi, cioè la distruzione dei globuli rossi, la splenomegalia, l’aumento della bilirubinemia; l’esempio paradigmatico e più frequente è la sferocitosi. Al gruppo delle anemie emolitiche appartengono anche quelle determinate da carenze enzimatiche, per esempio da piruvato-kinasi o da G-6PDH, anch’esse a trasmissione ereditaria. Anche le anemie emolitiche autoimmuni, che possono essere espressione di una malattia sistemica più seria, si caratterizzano per la violenta anemizzazione ed ittero ingravescente, direttamente correlato all’entità dell’emolisi. Espressione emolitica hanno anche tutte le forme autoimmuni, secondarie alla anomala produzione di autoanticorpi.
Diagnosi: un corretto inquadramento diagnostico attraverso esami di laboratorio di primo e di secondo livello, è assolutamente necessario per una corretta definizione diagnostica che consenta una terapia efficace e specifica, talvolta affiancata dalla terapia di supporto trasfusionale, quando necessaria.
Leucopenia e Neutropenia
Diminuzione nel sangue dei globuli bianchi e dei granulociti neutrofili. Sono varie le forme che comportano la riduzione di queste cellule: dalla forma più severa, l’agranulocitosi di Konstman alla neutropenia cronica benigna, attraverso forme transitorie come la neutropenia autoimmune o forme di gravità moderata o lieve come la neutropenia ciclica.
Leucopenia e neutropenia possono essere presenti, assieme ad anemia e piastrinopenia nelle forme aplastiche come l’Anemia di Fanconi o l’anemia aplastica severa, che, assieme alla agranulocitosi severa, hanno un’indicazione assoluta al trapianto di cellule staminali emopoietiche. Il tratto distintivo è una maggiore suscettibilità alle infezioni. La terapia dipende dal tipo di forma e dal meccanismo fisiopatologico responsabile.