La storia di Cristina

Avevo 12 anni quando mi diagnosticarono il tumore.

Era appena iniziata la seconda media e io in quel periodo zoppicavo parecchio e non dormivo più la notte per il dolore. Purtroppo dai primi dolorini che sparivano e ricomparivano misteriosamente a diagnosticare la mia malattia passò molto tempo ed era diventato sempre più frustrante sentire i pareri discordanti dei medici che non riuscivano a capire di cosa si trattasse. Soltanto dopo tantissimi esami e una biopsia si capì con cosa avessi a che fare e non restava quindi che iniziare immediatamente la chemioterapia.

Da un giorno all’altro la mia vita cambiò, tutto quello intorno a cui girava la mia vita da 12enne ad un tratto divenne nullo, niente era più importante e niente era più come prima. Non c’era più nemmeno la scuola a farmi sentire “normale”, la chemio era pesante e due settimane dopo il primo ciclo persi i capelli, il mio corpo diventava sempre più fragile ma paradossalmente dentro di me cresceva una forza di cui non conoscevo l’esistenza. Questa forza era sicuramente mia ma non avrei mai potuto tirarla fuori se non ci fossero stati i miei genitori, mio fratello e mia sorella in tutto ciò… anche e soprattutto loro vivevano il dramma della malattia ma se ne siamo usciti così forti dobbiamo ringraziare davvero col cuore tutta l’equipe medica del reparto di onco-ematologia pediatrica che ci ha sostenuti in ogni momento! I dottori del reparto (ritenuti da me fin ad allora persone fredde e distaccate) erano diventati amici fidati e nonostante andassi lì per motivi sicuramente spiacevoli mi davano sempre un motivo per sorridere e anche il momento delle visite in reparto diventavano un pretesto per farsi qualche risata. Soprattutto le giornate passate al day hospital erano quelle che passano più in fretta perchè tanti bravi volontari ci facevano fare dei giochi, ci facevano dipingere disegnare o semplicemente parlare del più e del meno, in ogni caso non si era mai soli. Le care dolci infermiere, gli psicologi e tutti quanti hanno reso tutto il periodo di ospedalizzazione il meno traumatico possibile! Dopo aver subito un importante intervento che mi tenne a letto per sei lunghi mesi con entrambe le gambe ingessate e dopo aver concluso le terapie con il trapianto autologo di cellule staminali, la mia vita ricominciò a riprendere da tutto quello che avevo lasciato… ritornai subito a scuola perchè cosa che non mi sarei mai aspettata in quel periodo era la cosa che più mi mancava, così tanto che alla domanda della dott. Serena cosa farai dopo il trapianto risposi subito : Voglio tornare a scuola! Sicuramente si aspettava un’altra risposta e invece no, la cosa che più volevo era che tornare nella mia “normalità” e rivedere i miei compagni. Col passare del tempo stavo sempre meglio, dopo il gesso ho dovuto tenere un tutore alla gamba per un po’ e per tre anni dovetti aiutarmi con le stampelle perchè la terapia aveva rallentato il normale processo di guarigione dell’osso. Nonostante ciò ho sempre fatto tutto quello che facevano le mie amiche della stessa età, però una delle cose più difficili è stata proprio reinserirmi nel gruppo dei pari. Dopo aver vissuto l’esperienza della malattia relazionarsi con gli altri della stessa età non era facile, avevo già diverse preoccupazioni e vedevo le cose diversamente da una qualsiasi altra ragazza di 13-14 anni.

Al di là di tutto maturai presto l’idea che bisogna sempre prendere la parte positiva di qualsiasi esperienza anche se non sembra possibile farlo durante quel periodo buio, col tempo, un po’ di sole sorgerà per tutti e io dopo aver vissuto tanti momenti difficili oggi ricordo solo l’affetto e il calore che sento ogni qualvolta entro in quel reparto.

Oggi, 6 anni circa dopo il trapianto, sono una studentessa al secondo anno di università nella facoltà di Scienze Della Formazione Primaria, vivo insieme a delle amiche, amo viaggiare e mi tengo sempre in movimento. La malattia non ha pregiudicato la mia vita, non mi sono mai fermata davanti ai primi ostacoli. Non so perchè accadono queste cose, non so perchè la gente si ammala e qualcuno non ce la fa… però oggi penso che non tutto il male viene per nuocere. Ogni cosa che accade lungo il cammino della nostra vita ci cambia e noi non restiamo mai gli stessi di prima.

Un bel giorno proprio dall’ospedale ricevetti una chiamata che cambiò tutta la mia vita.

Mi si chiedeva se volevo andare in uno dei campi di terapia ricreativa nati appositamente per ospitare bambini e ragazzi che come me avevano subito o ancora facevano queste pesanti terapie. Senza pensarci su due volte accettai. Non sapevo di preciso cosa mi aspettasse, ma una volta li capii subito che era un posto meraviglioso. Lì vedevo delle magie… i bambini tornavano bambini! Non c’erano più preoccupazioni ma spensieratezza, sorrisi, abbracci, giochi, canti, spettacoli. Persone dolci e simpaticissime. Attività bellissime come tiro con l’arco, teatro, equitazione, piscina, canoa e la più difficile in assoluto l’arrampicata una vera e propria sfida di forza, coraggio e fiducia in sé stessi.

Le giornate nei campi trascorrono velocemente tra un’attività e l’altra, ma la sera prima di dormire vi è sempre un momento di riflessione, di confronto, in cui si chiacchera dei momenti più belli trascorsi sia all’interno del campo sia della vita fuori, ci si incoraggia raccontandosi dei momenti meno belli e si creano profonde amicizie destinate a durare tutta la vita.

Ancora con le stampelle quell’anno andai a Barretstown il campo irlandese, l’anno successivo a The Hole in The Wall Gang Camp negli USA e a Dynamo Camp il campo che abbiamo in Italia dove ritornai per ben 5 volte. Ogni Camp è una realtà a sé stante che nasce dal sogno dell’attore Paul Newman – fondatore nel 1988 del primo camp negli Stati Uniti – e che è stato da allora la forza promotrice di queste esperienze terapeutiche per bambini malati. Ad oggi più di 348.700 tra bambini e famiglie hanno partecipato ai programmi di SeriousFunChildren’s Network in tutto il mondo: 14 sono i camp, presenti negli Stati Uniti, in Inghilterra, Francia, Irlanda, Ungheria e Israele; 11 i programmi di Terapia Ricreativa promossi dall’associazione in Africa, Asia e Sud America. Non è facile spiegare la magia dei campi se non si è stati lì, posso permettermi di dire che non è facile capire di cosa si tratta, ma una cosa posso assicurarvi: tutto quello che fuori nel mondo esterno sembra un muro insormontabile, diventa qualcosa di davvero piccolo, così piccolo che non mette più paura e di conseguenza matura una forza e un coraggio dentro che accompagna per sempre la vita di chi è passato da lì. Oggi non mi è più possibile partecipare da camper per via dell’età però dopo aver ricevuto tanto mi sento ormai io in dovere di dare una mano agli altri e così quest’anno ho fatto la mia prima esperienza da volontaria che posso davvero classificare come la più bella esperienza della mia vita. Ritrovarsi da campers a volontaria è stato un bel traguardo che da anni mi prefiggevo di raggiungere e anche se trovarsi dall’altro lato non è semplice perchè si rivivono avvolte dei ricordi della malattia ho provato gioia, la stessa gioia che provavo io nei sorrisi di quei bambini.

Oggi ho imparato che se la vita è dura… possiamo ugualmente ballare sotto la pioggia aspettando che ritorni il sereno!